Fin dalle sue origini Firenze si sviluppa intorno all’Arno, che nel corso dei secoli ha rappresentato una risorsa e una sfida fondamentale per la città e i suoi abitanti. I romani sfruttarono le loro competenze ingegneristiche per derivare l’acqua da sorgenti, fiumi e torrenti e incanalarla in condotti che la trasportavano fino alla città, così come nel tardo Medioevo i fiorentini utilizzarono le loro capacità tecniche per la costruzione dei ponti sull’Arno. La stessa abilità ingegneristica si ritrova nelle fontane monumentali, protagoniste di spicco dell’arte rinascimentale e barocca della Firenze ducale e granducale, e in quella «drammaturgia di macchine» che è uno dei tratti caratterizzanti della spettacolarità medicea. L’Arno non è soltanto legato a occasioni celebrative, ma anche a calamità naturali. Nel corso della prima età moderna, letterati e studiosi hanno raccontato le alluvioni sia in opere di larga circolazione sia in contributi a stampa di carattere scientifico. Pertanto, in un territorio così fragile, contraddistinto da un elevato rischio idrogeologico, divengono fondamentali tutte le operazioni volte a preservare i patrimoni materiali di interesse scientifico e culturale presenti nelle collezioni fotografiche e cartografiche. Il radicale cambiamento della città in età contemporanea ha portato alla creazione di infrastrutture idrauliche capaci di soddisfare le necessità dello sviluppo moderno, configurando quella “città a rete” (trasporto, illuminazione, fogne e rifiuti) maturata definitivamente dopo la Seconda guerra mondiale.
Acqua incanalata
L’acqua ha rappresentato una risorsa indispensabile per tutte le popolazioni, in ogni epoca. Con l’impero romano diventa un bene di proprietà statale ad uso pubblico e, tramite la costruzione degli acquedotti, anche una delle principali forme di spettacolarizzazione del potere e del progresso tecnologico. Nella Florentia romana, l’acquedotto ha lasciato alcune tracce evidenti lungo un percorso di circa 15 km, dalla Val di Marina (Calenzano) alla cerchia muraria urbana. Le fonti storico-letterarie e la toponomastica ne implementano la conoscenza dando testimonianza delle sezioni oggi non più esistenti.
Acqua controllata
La Firenze in piena fase di espansione dei secoli tardomedievali si strutturò e sviluppò attorno all’Arno: l’acqua del fiume, infatti, si rivelò una risorsa fondamentale per le esigenze economiche, commerciali e di trasporto di uomini e merci. Con la costruzione di strutture come ponti, pescaie, mulini e gualchiere lungo il tratto cittadino dell’Arno, i fiorentini dei secoli tra il XII e il XV mostrarono una rilevante capacità tecnica e ingegneristica nella realizzazione di infrastrutture capaci di utilizzare al meglio la risorsa idrica. A tale proposito, il ponte alla Carraia, realizzato tra 1218 e 1220, rappresenta un ottimo esempio di una struttura costruita sul fiume e adibita a molteplici funzioni.
Acqua e Arte
L’approvvigionamento idrico, fondamentale per lo sviluppo delle attività cittadine, è da sempre stato questione cruciale per i governi delle città. Sarà soprattutto a partire dal ducato di Cosimo I de’ Medici che Firenze verrà dotata di un articolato sistema di fontane pubbliche di vario genere e tipologia. Alle piccole fontane che punteggiano il tessuto urbano al fine di fornire ai sudditi questo prezioso bene, si alternano le fontane monumentali. Concepite come strumento di rappresentanza politica, queste ultime sono spesso opera dei maggiori artisti attivi nel panorama fiorentino, da Bartolomeo Ammannati a Giambologna, fino ai grandi scultori del Seicento come Pietro Tacca.
Acqua e Spettacolo
L’acqua è stata un elemento importante anche per la storia dello spettacolo. Ad esempio nel 1589 quando, durante le nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena, il cortile di Palazzo Pitti venne utilizzato per una fastosa naumachia. Le competenze tecniche e ingegneristiche di Bernardo Buontalenti e Alfonso Parigi permisero di allagare il cortile e di simulare, attraverso l’utilizzo di veri navicelli, una battaglia navale tra la flotta del Granduca e quella turca. Anche l’Arno è stato un significativo luogo di spettacolo, più volte utilizzato nel corso dei secoli. Già nel 1304 venne realizzata sul fiume una realistica rappresentazione dell’inferno che si contraddistinse sia per l’assoluta novità dello spettacolo, sia per il tragico finale, con il crollo del ponte alla Carraia. La distribuzione degli spettatori sul ponte e lungo le sponde del fiume, in particolare nel tratto proteso verso ponte Santa Trinita, si ritrova nel 1608 durante gli spettacoli in onore di Cosimo e Maria Maddalena d’Austria, mentre più di recente Virgilio Sieni, per la performance La zattera d’oro, ha privilegiato il tratto di fiume più vicino alle Cascine.
Acqua raccontata
Tra i libri stampati a Firenze nel corso del XVI secolo nei pressi della Badia si trovano numerose stampe popolari, vite di santi, Sacre Rappresentazioni e narrazioni di avvenimenti significativi, come ad esempio le alluvioni. Di quella avvenuta nell’ottobre del 1589 lasciò una testimonianza Bernardo Lontri nel Discorso sopra la rovina et danno che n’ha apportato Arno nella città di Fiorenza (stampato «alle Scalee di Badia con licenza de’ Superiori»). Si tratta di una relazione di tipo popolaresco oggi rarissima, di cui una copia è conservata presso la Biblioteca Moreniana di Firenze. Composto in versi, il vivido racconto del Lontri, dai toni assai vivaci e non privi di una certa drammaticità, ben si prestava ad essere recitato ad alta voce per le vie di Firenze: «Narro gli stridi, et i lamenti e i pianti | le rovine, i fracassi, i gran romori, | et i singulti, che pur furno tanti | [….] c’ha apport’Arno alla sua bella Flora, | non solo dentro a lei, ma ancor di fuora».
Durante il secolo dei Lumi, la questione delle alluvioni continua a essere affrontata in ambito governativo e accademico, grazie allo sviluppo di una riflessione sistematica sulle moderne teorie e tecniche idrauliche per la prevenzione e gestione delle calamità naturali. Se, da un lato, vengono analizzati i provvedimenti adottati in altri contesti europei per fronteggiare situazioni analoghe, dall’altro sono studiati gli episodi più significativi della storia fiorentina di età medievale e moderna. Alla questione viene dedicato ampio spazio anche sulle pagine di periodici e libri, come la Disamina di alcuni progetti fatti nel secolo XVI per salvare Firenze dalle inondazioni dell’Arno di Giovanni Targioni Tozzetti.
Acqua e Igiene
Gli anni di Firenze capitale furono segnati dalla necessità di trovare risorse idriche di buona qualità sufficienti a soddisfare la crescente domanda di acqua potabile della città, in grado di sorpassare l’impianto degli acquedotti medicei, spesso fonte di epidemie come tifo e colera come già notato un decennio prima da Giuseppe Poggi. Un grande dibattito tra tecnici e politici animò i lavori di scavo dei primi quattro pozzi all’Anconella (1869) e quelli per l’acquedotto Canevari-Del Sarto (1871-1877) che prevedeva un sistema a galleria filtrante. L’acquedotto fiorentino fu inaugurato ufficialmente nel 1877 e fu offerta alla popolazione la visita gratuita dei serbatoi, del moderno fabbricato delle macchine, sul lungarno Benvenuto Cellini, e della galleria binata. Solamente con l’inizio del XX secolo l’acquedotto moderno prende forma. Se alcuni anni prima dello scoppio della Grande Guerra (1911) furono iniziati i lavori che portarono all’attuale impianto dell’Anconella, con l’utilizzo del sistema di filtrazione lenta attraverso dei letti di sabbia, è solo con il 1918 che iniziarono gli scavi dei pozzi (18-20 m. di profondità) a Mantignano, lungo la linea parallela all’Arno. Quest’ultimo fu inaugurato nel 1929 alla presenza di tutte le autorità fiorentine e del ministro Italo Balbo. Pochi anni più tardi furono promossi nuovi scavi (8 pozzi) alle Cascine (1935, 1941), ripresi nel Secondo dopoguerra (1951, 1961 e 1969), quando si potenziò quella del Mantignano. Nel 1956 fu costruito infine un nuovo impianto per il trattamento dell’Acqua dell’Arno all’Anconella, inaugurato quasi vent’anni dopo (1974).
Acqua e Patrimonio
L’alluvione del 1966 è stata uno spartiacque per la storia della città di Firenze, perché non solo ha messo in evidenza con clamore il rischio idraulico al quale è esposto il territorio fiorentino, ma ha altresì innescato una serie di riflessioni connesse alla conservazione del patrimonio culturale presente in collezioni pubbliche e private. È il caso, ad esempio, dei fondi cartografici conservati nella Biblioteca di Geografia dell’Università di Firenze. Questi, collocati inizialmente nella sede di via Laura, vennero severamente interessati dallo straripamento dell’Arno riportando non pochi danni. Pertanto, la digitalizzazione dei beni materiali da un lato è fondamentale per garantirne la preservazione, dall’altro per scongiurarne la frammentazione, come nel caso dei beni cartografici e fotografici presenti nell’ex Istituto Agronomico per l’Oltremare, oggi sede fiorentina dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Questi ultimi corrono infatti il rischio di essere smembrati in molteplici siti a seguito della soppressione della sede.